Io credo che la fotografia nasca da un incontro.
L’incontro tra due o più persone, ma anche tra una persona e un ambiente, o un ambiente e un oggetto. Incontro che diventa immagine.
La scelta di un linguaggio immediato e accessibile mi aiuta a comprendere lo spazio che mi circonda e a raccontare ciò che vedo, per scoprire e conoscere, ma soprattutto per rappresentare la mia visione della realtà.
Racconto il territorio e il paesaggio dal mio punto di vista, senza mai abbandonare l’idea che c’è sempre qualcosa oltre la semplice visione di una fotografia.
La pluralità di interpretazioni che ogni fotografia può generare, mi ha spinto a cercare di fondere il documentario e il surreale:, mettendo in dialogo uno sguardo impersonale e uno che oltrepassa il visibile, per diventare quasi inconscio.
Un’intenzione che nasce dalla mia predilezione per un linguaggio fatto più di immagini che di parole – contaminato dalla mia formazione di grafico – per un modo di esprimersi ricco di sensazioni e meno vincolato dal significato dei singoli termini.
Sono attratto da fotografie e lavori che non hanno titoli e didascalie chiari e lasciano invece aperti lo svolgimento e il finale, accogliendo più livelli di lettura.
La mia ricerca parte dal mondo materico delle istantanee.
Le Polaroid sono state il primo approccio con la fotografia come mezzo espressivo e sono ancora oggi lo strumento più vicino al mio subconscio.
Andando avanti, ho cercato di mediare i processi e le peculiarità delle Polaroid con la velocità e la definizione del digitale, per adattare l’ambiente alle mie urgenze narrative.
E’ una ricerca che probabilmente mi accompagnerà ancora per molto verso luoghi che, a oggi, mi sono ancora ignoti.
